martedì 11 agosto 2015

Intervista allo scrittore Simone Togneri a cura di Paolo Vinciguerra

SIMONE TOGNERI 






E' nato nella Valle di Corsonna, ai piedi dell'appennino Tosco-Emiliano, nel bel mezzo dei "giorni della merla". Forse è per questo che non ha mai freddo.
La passione per il disegno lo ha portato a diplomarsi in pittura all'Accademia di Belle Arti di Firenze, poi ha scoperto la scrittura e i disegni sono finiti nel cassetto.
Ha pubblicato i romanzi "Dio del Sagittario" (L'Età dell'Acquario)





"Arnoamaro, un'indagine di Simòn e Mezzanotte" (Frilli), 





"Loop" (Meme) 





e "Nature morte a Firenze" (Frilli)






Nel 2013, insieme all'amico chef decoratore Claudio Menconi, ha pubblicato il romanzo/ricettario "Caterino, romantico duello in punta di forchetta" (Brandani).
Suoi racconti sono apparsi in "Tutto il nero dell'Italia" (Noubs), "Racconti nella rete 2008" (Nottetempo), "Carabinieri in giallo 2" (Mondadori), "Toscana in giallo" (Frilli). 
Ha pubblicato su"Cronaca Vera", "Il Carabiniere", "Sherlock Magazine" e su "Il Manifesto".
Recentemente grazie all'amico Alessandro Sesti, vignettista de "La Nazione", ha riscoperto il disegno e l'amore per la satira.
Vive, ascolta le voci, scrive e disegna in una grande casa ai margini di un bosco misterioso, insieme a un manipolo di gatti che, a suo dire, tengono lontani lupi e briganti.
Oltre che in giro per i boschi, se volete lo trovate anche su Facebook e su Twitter.

Ed ecco l'intervista che gentilmente ha rilasciato a Atmosfere Letterarie.....


Ciao Simone.

Prima di tutto vogliamo ringraziarti per la tua cortesia e disponibilità a concedere questa intervista al blog Atmosfere Letterarie.


Sono io che ringrazio voi per l'ospitalità che mi offrite.



D. Il tuo ultimo romanzo “Nature morte a Firenze”, edito dalla Fatelli Frilli Editori, sta avendo un ottimo successo di critica. Ci racconti come e quando è nata la tua passione per la scrittura noir e in particolar modo come sono nati i personaggi di Simon e Mezzanotte? 


Sono da sempre attratto dalle storie, indipendentemente dal mezzo con cui vengono raccontate. Che sia un romanzo, oppure il teatro, il cinema o la musica, l'aspetto che mi interessa è quello delle emozioni. Quindi, con il tempo, ho capito che sarebbe piaciuto anche a me riuscire a emozionare qualcuno attraverso qualcosa di mio. La passione per la lettura, poi, ha fatto sì che scegliessi lo strumento della parola. Dall'ascoltare storie allo scriverle ce ne corre, però ho voluto provarci. E in questo mi hanno aiutato molto Simòn e Mezzanotte. Sono i primi personaggi che ho conosciuto, che sono venuti a bussare alla mia porta. L'occasione di incontrarli è stato un esame di anatomia artistica all'Accademia di Belle Arti di Firenze, in cui volevo proporre una storia a fumetti da me sceneggiata e disegnata. Il soggetto era, grosso modo, quello che poi è diventato "Dio del Sagittario". Loro erano già lì, nelle pagine che via via aggiungevo e mi è bastato mettermi in ascolto. L'esame poi è stato un disastro. Però se ho cominciato a scrivere, il merito (o la colpa) è di quell'esame.

D. Ci puoi descrivere brevemente anche il tuo romanzo “fuori serie” Simon e Mezzanotte, “Loop”?


Ci sono aspetti di questa società che non mi piacciono, che mi fanno rabbia. Uno di questi, ad esempio, è la pirateria stradale e la giustizia che sull'argomento latita da anni. In "Loop" ho voluto parlarne non tanto da un punto di vista giuridico o tecnico, quanto da quello emotivo. Mi sono chiesto cosa potrebbe scattare nella testa di un uomo che perde la moglie in un incidente d'auto ed è costretto a vedere l'artefice del suo dolore libero di andarsene in giro come se niente fosse. Accade spesso anche nella realtà, purtroppo è un dato di fatto, e secondo me è importante non abbassare la voce. In Italia c'è l'abitudine di vedere i problemi solo quando si presentano. Se vogliamo che qualcosa cambi, secondo me, occorre parlare di ciò che non funziona anche quando non succede niente. "Loop" è la mia piccolissima voce che si unisce al coro. 

D. Il noir secondo Simone Togneri. Cosa rappresenta per te?


Per me il noir è un viaggio sul lato oscuro della luna. L’occasione per scivolare nel profondo dell’animo umano ed esplorarne la parte buia. È la possibilità di raccontare, attraverso la finzione, quello che davvero non funziona, di dar voce a chi non ce l’ha, di puntare la lampada sugli angoli più polverosi della società in cui vivo, che a volte non mi piace. 

D. In tutti i tuoi romanzi c’è qualcosa di personale? Da dove trai spunto per le tue storie?


Sì, certo, non potrebbe essere diversamente. Scrivo di ciò che conosco, per cui è inevitabile che a volte finisca sul personale. Nelle storie con Simòn e Mezzanotte si parla spesso di pittura, di arte, dell'Accademia di Belle Arti di Firenze che ho frequentato a suo tempo, e certi episodi di cui ho scritto partono da spunti reali. Anche negli stessi personaggi c'è qualcosa di me. La ruvidità di Mezzanotte e la fragilità di Simòn sono aspetti che mi appartengono e che si compensano, creando la personcina equilibrata che sono. Per quanto riguarda gli spunti, non c'è limite alla provvidenza e possono arrivare in qualunque momento. Mi piace pensare che siano le storie a scegliere gli autori, e non il contrario. Per cui a volte basta una scritta su un muro, una scena vista per strada o un articolo di cronaca per essere scelti.

D. Simone, tu hai una scrittura che è particolare, affascinante, con dialoghi di rara intensità emotiva. Trovi differenze nel tuo stile di scrittura attuale rispetto agli inizi?


Be', intanto grazie dei complimenti. Mi fa particolarmente piacere perché per me i dialoghi sono sempre stati ostici, per quello cerco di inserirne sempre tanti nelle storie che racconto. Sono un mio limite, e non certo l'unico, per cui penso che sia importante lavorare partendo proprio da ciò che non si sa fare. Il mio stile, ammesso che ne abbia uno, non mi soddisfa mai. Non sono mai contento di ciò che scrivo e per quello non vado mai a rileggere cose che ho pubblicato. A meno che non ci sia l'occasione di una ristampa, ma per il momento non è mai capitato. Posso dire che negli ultimi anni, cioè da quando sono tornato a vivere nel casolare di famiglia che è immerso in una vallata boscosa e un po' misteriosa, ho l'impressione che il mio modo di scrivere sia cambiato. Ma non necessariamente in meglio


D. Che rapporto hai con Firenze e con la Toscana in generale?


Sono un toscano di confine, nel senso che la zona in cui vivo si trova tra Emilia Romagna e Liguria, quindi appartengo a un territorio che ha subito molte influenze culturali. Sono anche un toscano di montagna, perché mi trovo tra gli Appennini e le Apuane, e sento un legame fortissimo con la terra dove sono nato e cresciuto. Non è un caso che, come dicevo prima, abbia deciso di tornare a vivere tra gli stessi alberi che amavo quando ero bambino. Però sono anche uno di quei toscani che ha vissuto a Firenze. Ho abitato lì per diversi anni e ho avuto modo di conoscerla da residente e non da visitatore occasionale. Un po’ sento di appartenerle. È una città che amo, che ho conosciuto negli aspetti meno da cartolina e non sempre positivi, che mi emoziona sempre quando ho l'occasione di tornarci. Ambientare le mie storie a Firenze è la possibilità per me di viverci ancora.

D. Come scrive Simone Togneri? Scrivi di getto o pianifchi prima tutto? Carta, penna e calamaio o direttamente al PC?


Penna d'oca? No, scherzo naturalmente. Il pc è fondamentale perché mi permette di avere subito una forma definita e leggibile di ciò che scrivo e soprattutto posso fare correzioni all'infinito senza sprecare un grammo di carta. Però ultimamente ho cominciato a scrivere a mano. Questo perché ho l'impressione che se scrivo al pc la confezione influisca sul contenuto e lo migliori, falsandolo. Invece se lavoro a mano metto a nudo la scrittura e resta solo la storia. Una volta che quella funziona, o almeno così pare a me, trasferisco tutto sul pc per le modifiche, le riletture e tutto il resto. Purtroppo ho una pessima calligrafia e il difficile è capire cosa ho scritto. Non riesco a pianificare una storia per intero, mi sembrerebbe di forzarla ad andare dove dico io e non dove vuole lei. Certe vicende hanno una sorta di percorso di logica naturale. Alcuni eventi si possono decidere, altri ne sono la conseguenza. Ignorare questa logica, rischia di trasformare ciò che si è scritto in una farsa poco credibile. L'unica volta in cui ho preparato una scaletta piuttosto dettagliata, l'ho stravolta completamente in fase di stesura.

D. Trovo che nel leggere i tuoi romanzi ci si trovi davanti ad uno dei migliori narratori italiani. Secondo te esiste una differenza tra narratore e scrittore? E se si, quale?


Se dici così mi fai arrossire e se avessi una testa a questo punto me la monterei. Per fortuna la testa non ce l’ho e continuerò a non considerarmi nemmeno uno scrittore. Per venire alla domanda, confesso che nella mia ignoranza caprina non ho mai capito fino in fondo quale sia la differenza e non mi sono mai nemmeno appassionato troppo al tema. Per me contano le storie e le emozioni che sanno dare, a prescindere da chi le racconta.

D. Come è nata la tua collaborazione con la Fratelli Frilli Editore?


Avevo Frilli nel mirino già da un po’. Mi piace quello che fanno e come lo fanno. Ci mettono passione e per me questo è fondamentale. Quando un amico in comune mi mise in contatto con loro, fui ben felice di inviare la bozza di quello che poi sarebbe diventato “Arnoamaro”. Poi incontrai Carlo Frilli al Salone del Libro e fummo subito amiconi. La storia gli piacque, ma per vari motivi non riuscimmo a pubblicarla subito. Alla fine però il progetto è andato in porto e ne sono fiero. Se sono ancora in giro per le librerie dovete ringraziare lui. O rifarvela con lui, vedete voi.

D. Quando si crea un personaggio seriale, esiste il rischio di diventare ripetitivi? Qual è il segreto per proporre sempre qualcosa di nuovo?


Quando ho a che fare con protagonisti seriali da lettore, mi aspetto di ritrovare qualcosa che conosco già. L'ambientazione per esempio, un certo modo di scrivere e di condurre la storia verso la soluzione del caso, di riconoscere un determinato retroscena che mi permetta di condividere ciò che provano i personaggi. L'elemento nuovo è dato dalle difficoltà che lui o lei si trova ad affrontare di volta in volta. Nuovi casi, nuovi personaggi, e via di seguito. Quando ho a che fare con la serialità da scrittore, diventa difficile individuare il limite tra ciò che chi sta dall'altra parte vuole leggere e ciò che invece trova ripetitivo, trovare l'equilibrio tra ciò che devo dire e cosa no e dosare la giusta misura tra il dire troppo o il dire troppo poco. È un casino, insomma. Ho scritto solo tre romanzi con protagonisti Simòn e Mezzanotte, e inizialmente doveva essercene uno e basta, quindi non ho ancora l'esperienza per dire se ci sia un segreto o una regola che garantisca la longevità di un personaggio. L’unica che mi viene in mente è quella di far leggere ciò che si è scritto a un certo numero di lettori fidati. Ma questo in fondo vale un po' per tutto, no?

D. Fra tutti i romanzi che hai scritto, qual è stato quello più duro da scrivere? Quello più sofferto emotivamente ?


Il libro in cui ho avuto più difficoltà non è un noir, ma un romanzo/ricettario dai toni leggeri e divertenti. "Caterino, romantico duello in punta di forchetta". Nel 2013 il mio amico chef decoratore Claudio Menconi mi coinvolse in quella che per me è stata una vera sfida, cioè scrivere una storia che avesse come tema la goliardia toscana, l'amore, la cucina e un pizzico di follia. Io che non avevo mai scritto niente del genere, accettai senza essere sicuro di riuscire nell'impresa e faticai non poco a capire quale fosse la chiave per far muovere e parlare i personaggi senza renderli ridicoli. L'ho trovata nella naturalezza, lasciandoli liberi senza obbligarli a far ridere per forza. Ora, se ha funzionato non lo so, ma di certo io e Claudio ci siamo divertiti molto.
Dal punto di vista emotivo, invece, ho sofferto molto nello scrivere "Loop". E' quello che mi ha fatto coinvolto più di tutti, che mi ha fatto salire le lacrime agli occhi, che è arrivato a toccare le mie corde più profonde.


D. Qual è la parte più esaltante nello scrivere un romanzo? 


So che rischio di essere scontato, ma a me diverte ogni fase. Dalla prima stesura, dove per mille volte mi trovo a dover affrontare la famosa pagina bianca, alla trecentesima rilettura. E mi piace parlarne, quando ho la possibilità, con chi lo ha letto. Scoprire cosa pensa dei personaggi, cosa ha provato leggendo di quel determinato evento o del finale. Mi piace sapere che strascico ha lasciato, se lo ha lasciato. E ti dirò, mi piace anche il momento in cui non scrivo. Stare seduto in riva al torrente, fumando un sigaro, a cercare di sciogliere un certo nodo narrativo, per esempio. Il più delle volte il nodo non si scioglie, però quando torno a casa sono molto più rilassato.

D. Che rapporto hai con i tuoi lettori? Che effetto ti fa sapere che una storia che hai scritto tu provocherà delle forti emozioni in tante altre persone?


Già il fatto di immaginare di avere dei lettori mi sorprende e mi emoziona. Con loro, almeno con quelli che ho avuto modo di conoscere, c’è un rapporto molto bello che si rinnova di continuo. Sono lettori attenti, che spesso mi fanno notare aspetti delle storie che io stesso ignoro. Sono fiero di loro. Come dico spesso, non scrivo per me. Per me faccio altro (tipo, appunto, fumare un sigaro in riva al torrente o passeggiare in un bosco). Quando scrivo mi emoziono e spero che chi mi leggerà lo farà a sua volta. A volte capita che qualcuno me lo dica e mi rimandi indietro le stesse emozioni che ho provato io filtrate dal suo personale modo di sentire. Allora il cerchio si chiude e la scrittura trova il suo senso. E lo trovo anch’io.

D. Lo scrittore preferito da Simone Togneri. Quello italiano e quello straniero.


Ce ne sono talmente tanti che farei un torto a qualcuno se facessi qualche nome. Amo tutti quegli autori che mi lasciano qualcosa da portare dietro anche a lettura finita. Quelle storie che quando chiudo il libro restano con me a lungo, quei personaggi che mi fanno riflettere e che tornano alla mente quando meno me lo aspetto. Apprezzo molto gli autori italiani. E non parlo solo dei maestri, ne abbiamo di bravissimi anche tra coloro che cercano di emergere. Spesso però si pensa che chi viene da oltre confine sia migliore. Non è così. O almeno non sempre. Dobbiamo imparare a fidarci del Made in Italy anche in fatto di emozioni.

D. Cosa ne pensi del momento della scrittura giallo/noir/thriller di oggi in Italia? Qualcuno dice che ci sono anche troppi scrittori rispetto al numero di lettori….


…motivo per cui bisognerà che qualcuno, tipo il sottoscritto, cominci a dare l'esempio e la smetta. Sto scherzando, naturalmente… Penso che il genere stia vivendo una stagione molto florida, con una nuova generazione di autori che, affiancato dalle colonne portanti, si sta imponendo sul panorama nazionale e internazionale. Mi sembra che ci sia un interesse crescente anche nel pubblico, e lo dimostrano anche i numerosi festival del giallo che nascono un po’ in tutta Italia e sono sempre affollati. Che siamo in tanti è vero, spesso gli scrittori sono lettori che hanno sentito la voglia di scrivere. Come è capitato a me. Scrivere è una cosa bellissima e sono del parere che tutti dovremmo farlo. Sarebbe un modo per esprimersi, imparare a parlare meglio, avere le idee più chiare e lasciare anche qualcosa di noi, selfie a parte, a chi verrà dopo. Pubblicare è un’altra questione. Lecito provarci, ma bisognerebbe essere consapevoli che nulla è per forza. Invece in molti siamo disposti a tutto pur di vedere il nostro nome su una copertina, anche a ricorrere all’editoria a pagamento. Pagare non ci trasforma in scrittori, ma facciamo finta di non saperlo. Questo ci frega già in partenza. 

D. Secondo te, bisogna andare giù duri nelle descrizioni, nei dialoghi, nelle scene di violenza, di sesso per creare un effettivo aspetto realistico, o c’è ancora spazio per scrivere alla Simenon per esempio?


Credo che anche qui non ci sia una regola. Dipende dal tipo di storia che si sta raccontando, da ciò che essa richiede per essere credibile. Personalmente penso che nulla debba essere messo dentro solo perché “ci sta bene” o “fa figo”. Se non serve, se distrae, evitiamolo. E ogni cosa al momento giusto. Inserire una descrizione o dilungarsi su un certo stato d’animo nel bel mezzo di un’azione concitata, fa sì che il lettore salti interi paragrafi perché vuol sapere come andrà a finire. E il “salto del paragrafo” non è certo lo sport preferito dagli scrittori.

D. Simone, molti scrittori sffermano che a volte i personaggi prendono la mano allo scrittore, che sembrano vivere di vita propria. E’ così anche per te?

Io dico sempre che sento le voci quando scrivo, che scrivo sotto dettatura e a volte sotto “dittatura”, perché quando vogliono essere ascoltate non resta altro da fare che cedere. Per cui figuriamoci se i miei personaggi fanno quello che dico io. E a me in fondo sta bene così perché mi risparmiano un sacco di fatica. Loro raccontano, io scrivo. Facile.

D. Un ultima domanda: prossimi progetti e il sogno di Simone Togneri. Come scrittore e come uomo…


Progetti ce ne sono tanti, il cassetto è pieno, e non so quale di questi troverà, se la troverà, la strada della libreria. Non sono un autore molto prolifico e, a differenza di molti amici, non ho un calendario definito con le prossime uscite. Per cui ogni libro, in teoria, potrebbe essere l’ultimo. Sogni, eh? Be’, come scrittore mi piacerebbe entrare in contatto con un maggior numero di lettori. Come uomo ne ho tanti, troppi per raccontarli tutti o sceglierne uno solo. E poi ho paura che, se lo dico, poi non si avveri più.

Grazie ancora Simone, davvero di cuore, da tutti noi.

Grazie a voi per la bella chiacchierata e in bocca al lupo per il vostro blog.

Cin, Simone!







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