lunedì 16 marzo 2015

Recensione de "Il vizio di Caino" di Ferdinando Pastori - Novecento Editore



Ferdinando Pastori


Il vizio di Caino


Flavio, dopo un mese in giro per l'Europa, è arrivato a Parigi. Non sta fuggendo da nessuno, ma non ha mai smesso di provare a levarsi di dosso il peso di una famiglia ingombrante. Il padre è un avvocato di fama, suo fratello Filiberto ne segue le orme. Lui invece vuole fare il fotografo. E potrebbe aspirare a essere felice, se non venisse richiamato all'improvviso a Milano. Filiberto è scomparso. Bisogna ritrovarlo. Inizia così la discesa in un abisso dove Flavio non riesce a distinguere chi sta dalla sua parte e chi è contro di lui, mentre serpeggia l'inquietudine più grande: di essere passato dalla parte del male. Perchè sullo sfondo della Milano delle escort e dei club privè, delle perversioni sessuali e della violenza più scabrosa, tornano a galla indicibili segreti. Il libro racconta una regola ineludibile: il male è contagioso.

Ferdinando Pastori continua il suo viaggio allucinato e allucinante all'interno dell'animo umano. "Il vizio di Caino" è un puro concentrato di situazioni limite. Un passaggio narrativo continuo dal noir all'hardboiled, dal giallo al pulp. Un romanzo di una durezza estrema, per stomaci forti dato che, specialmente nel finale, non lascia nulla all'immaginazione del lettore. Un romanzo spiazzante. La storia assume i contorni del dramma mano a mano che si procede nella lettura. Un'escalation di violenza, di morbosità, di follia. Di rapporti famigliari irrimediabilmente compromessi. Pastori porta il lettore in diverse direzioni. Svia. Non sai mai dove la storia si incanalerà. E il racconto in prima persona da parte del protagonista fa aumentare ancora di più la tensione. Un personaggio che non è un poliziotto, un investigatore privato. Indaga in un modo tutto suo, forse per dimostrare qualcosa a se stesso o al padre. Ed essendo coinvolto personalmente a livello emotivo, lo fa con errori, con maldestra e pericolosa ostinazione causando conseguenze che si riveleranno catastrofiche per lui e per gli altri. Sorpresa anche per quanto riguarda lo stile di scrittura totalmente diverso dal precedente romanzo. Non più periodi brevissimi con punteggiature quasi al limite e molto particolare, ma una narrazione continua e fluida che segue perfettamente l'io narrante. Il continuo scontro dialogato fra il padre e Flavio è stupendamente descritto. Dialoghi a volte silenziosi, sguardi, atteggiamenti, antiche ostilità. Il vecchio confronto fra due fratelli diametralmente opposti, spezza in due quella che poteva essere una vita diversa, con la madre resa sfumata, messa quasi in disparte, ulteriore vittima consapevole o inconsapevole. Tutto non è come sembra o come si vorrebbe fosse. Ambientato in una Milano diversa, sommersa, sconosciuta e pertanto tutta da scoprire. Eppure Pastori lascia spazio anche a un sentimento diverso. Un rapporto anche questo molto particolare fra Flavio e Micol, la poliziotta incaricata delle indagini, che non si sviluppa nei consueti canoni. In definitiva, pur passando a una narrazione più classica, Pastori non rinuncia a quelle sue caratteristiche particolari che lo hanno fatto apprezzare dai lettori e dalla critica. Un romanzo che ci trascina nei profondi recessi del male e della follia.

Buona lettura

Paolo Vinciguerra


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