venerdì 29 aprile 2016

Intervista a Emanuele Gagliardi e recensione del romanzo "Scacco dell'imbecille" a cura di Daniele Cambiaso

Intervista e recensione a cura di Daniele Cambiaso


Emanuele Gagliardi, Scacco dell’imbecille, Giovane Holden Edizioni, 2015





Nell’estate 1972 tiene banco a Gaeta il discusso matrimonio tra l’ex colonnello delle SS Herbert Kappler e l’infermiera Annelise Wenger. Troppo bruciante è il ricordo delle Fosse Ardeatine perché l’opinione pubblica non critichi il regime carcerario a cui è sottoposto il recluso e non circolino voci di transazioni poco chiare condotte nella sfera della politica occulta, per cui quando Frau Kappler subisce alcune minacce telefoniche viene inviato a vigilare su di lei un alto funzionario del SID, l’ingegner Domenico Garretto, che è anche cugino del commissario di polizia Umberto Soccodato.
I due uniscono l’utile al dilettevole e decidono di trascorrere con le rispettive famiglie un periodo di ferie a Gaeta, ma ben presto la situazione si complica. Proprio nell’hotel dove risiedono Frau Kappler e i suoi angeli custodi, viene trovata morta la giovane e disinvolta Sabine Werner, anche lei tedesca. C’è una qualche relazione tra la morte della ragazza e le misteriose telefonate ricevute dalla moglie dell’ex  ufficiale nazista? Chi sono i misteriosi personaggi con i quali era solita accompagnarsi? Il movente del delitto è politico o privato?
Scende in campo, a questo punto, il talento investigativo del commissario Soccodato, qui alla sua sesta avventura, che troverà ancora una volta il modo di pervenire alla soluzione dell’intricato caso.
Con questo romanzo Emanuele Gagliardi conferma di essere una delle penne più felici del giallo all’italiana, come del resto testimoniano i numerosi premi e riconoscimenti da lui ottenuti. Con i suoi “gialli vintage”, come lui ama definirli, si rivive un’epoca, quella degli anni Settanta, che l’autore ci offre richiamando suggestioni musicali, culturali e fenomeni sociali e di costume. Soprattutto, per chi ha vissuto quel periodo, i romanzi di Gagliardi sono un’occasione straordinaria per salire su una sorta di macchina del tempo e lasciarsi avvolgere da atmosfere indimenticabili. Col progredire della serie, il commissario Umberto Soccodato sta diventando un caro amico, che si aspetta di rivedere con quel piacere che creano i personaggi seriali ben calibrati. Il carattere solo apparentemente burbero, la passione per il commissario Maigret interpretato da Gino Cervi, che talvolta si sforza di imitare, la complicità con la moglie, che spesso si rivela la sua migliore aiutante, fanno di lui un detective piacevole, credibile e, soprattutto, originale. Non è un investigatore d’azione, ma utilizza l’osservazione e la deduzione come armi affilatissime che regalano soluzioni sorprendenti ai suoi casi. “Scacco dell’imbecille” non fa eccezione, dispensando emozioni e colpi di scena fino all’ultima riga. Vivamente consigliato a chi ama i gialli all’italiana e d’atmosfera, oltre che – ça va sans dire - ai nostalgici degli anni Settanta.




Proviamo, però, a scoprire qualche segreto del commissario Soccodato e del suo autore, sottoponendo Emanuele Gagliardi a stringente interrogatorio…

Emanuele, intanto grazie per essere con noi: parliamo un po’ di te. Come sei arrivato alla scrittura e come è nato il personaggio del commissario Soccodato?
            
Grazie a voi, anzitutto! Lettura e scrittura, insieme con fotografia e disegno, sono da sempre parti essenziali del mio essere, del mio modo di assorbire, metabolizzare ed esprimere le esperienze, le emozioni, gli stupori che la vita riserva ogni giorno soprattutto per chi, come me, conserva la meravigliosa capacità di osservazione dei bambini. Già alle elementari, sussultava evidentemente in embrione il mio futuro di storico, mi piaceva fissare su carta, con disegni o con brevi scritti, le esperienze che più mi colpivano: un viaggio, una scoperta, la visita a un museo, un film al cinema… Più tardi la scrittura, sulla scorta dei miei studi e della attività di giornalista, si è indirizzata su saggi e articoli di storia contemporanea e filosofico-religiosa dell’Estremo Oriente che ho pubblicato e ancora pubblico su riviste specializzate. Alla narrativa vera e propria sono approdato più di recente. Un concorso riservato ai dipendenti Rai (Narrerai) mi ha sollecitato a scrivere il primo romanzo (La maschera, Rai Eri 2011). Un giallo, il genere che più apprezzo, anche nelle sue trasposizioni televisive e cinematografiche, quanto a letteratura di evasione. La vittoria al concorso e la pubblicazione di questo primo libro mi hanno spronato a proseguire.
Quanto al commissario Soccodato, senza dubbio è una sorta di alter-ego. Parecchi i tratti in comune: gli occhiali e gli abiti demodé, l’ostinata indifferenza per le mode tout court, il comportamento riflessivo, a tratti malinconico, assolutamente antieroico… “La gente come me gira per strada, va al mare, al ristorante, sente la musica… gli eroi invece stanno tutti al cimitero!” scherza Soccodato con cinico sarcasmo.

Sono espliciti nei tuoi romanzi i riferimenti al grande Simenon. È lui il tuo autore di riferimento? Ci sono altri scrittori che ami in modo particolare? 

Simenon è uno degli autori di riferimento, ma soprattutto per l’adattamento televisivo del suo Maigret interpretato tra il 1964 e il 1972 da Gino Cervi. Quello a cui Soccodato si ispira dotandosi di cappello Borsalino e pipa, impostando la voce e la mimica facciale… con risultati non troppo lusinghieri, invero, tant’è che egli stesso ammette: di Gino Cervi non ho l’altezza né i capelli, al massimo la circonferenza!
Il mio modello è piuttosto Giorgio Scerbanenco, precursore – a mio parere ancora insuperato – di quel giallo-noir all’italiana che ha influenzato sullo scorcio degli anni Sessanta e soprattutto nei Settanta la produzione letteraria ma anche cine-televisiva. Attingendo alla televisione e al cinema, cito ad esempio Dov’è Anna? La polizia sta a guardare, Ultimo aereo per Venezia, La morte risale a ieri sera, Qui squadra mobile, Un delitto per bene, Roma violenta, Milano Calibro 9… Fra gli autori: Biagio Proietti, Diana Crispo, Massimo Felisatti, Fabio Pittorru, Mario Casacci, Alberto Ciambricco, Carlo Fruttero e Franco Lucentini.

Ci spieghi un po’ questa definizione del “giallo vintage”? Che cosa rappresentano, per te, gli anni ’70? Se non sbaglio questa tua passione si riflette anche in alcune tue abitudini di scrittura, vero?

Il vintage da qualche anno è di moda. Basta considerare la proliferazione dei mercatini dell’usato e del riciclo, l’attaccamento e il ritorno ai dischi di vinile da parte di tanti musicisti e musicofili… Sotto questi aspetti potrei considerarmi, spero di non passare per immodesto, un precursore: prediligo da sempre abbigliamento anni Sessanta e Settanta, lo cerco e lo indosso senza pretese di originalità: semplicemente perché mi ci sento meglio! Ascolto esclusivamente musica, non solo in vinile però, di quegli anni. Continuo a scattar fotografie con apparecchi a pellicola di cui il più nuovo è del 1972 e, per rispondere alla tua domanda riferita alla scrittura, scrivo le prime stesure dei miei romanzi con una Olivetti M40 del 1941! Logica conseguenza di tutto questo: le storie dei miei romanzi sono tutte ambientate in quegli anni. Perché? Perché scrivere è per me una essenziale valvola di sfogo, l’uscita di sicurezza virtuale ma efficace da una società e da un mondo moderno frettoloso, superficiale, edonistico, egoista che non mi piace. Gli anni Settanta sono stati gli anni della mia infanzia e prima giovinezza, anni vissuti nella totale magia della curiosità, delle scoperte, guidate e incentivate dai familiari da cui si riceveva per di più protezione e sostegno. Un’epoca individualmente indimenticabile per l’irripetibile connubio tra l’effervescenza della giovane vita e la tranquillità amniotica entro cui essa si muoveva. Irripetibile, appunto, se non con la fantasia che traduco nei romanzi.

Molto importanti sono i collegamenti alla Storia del nostro Paese: in Scacco dell’imbecille si parla, per esempio, della fuga di Kappler, in Un’ombra la vicenda si svolge parallelamente al rapimento di Aldo Moro, ne La neve compaiono le trame golpiste, mentre in Scommessa assassina troviamo l’eco dei Mondiali del 1966 e ne La pavoncella si affaccia il delitto Pasolini. Ecco, che ruolo ha la Storia per te? E quali sono gli aspetti che maggiormente ti interessano e ti coinvolgono?


Sono uno storico per vocazione e, direi, per costituzione. Per quanto riguarda l’esperienza personale, la mia memoria riesce a risalire con buona precisione fino a ricordi del secondo anno di  vita. E comunque gli avvenimenti, la cronaca mi hanno sempre attratto in tutte le loro implicazioni. I collegamenti ai fatti reali accaduti negli anni in cui si svolgono le trame dei miei romanzi ha una duplice funzione: anzitutto consente di contestualizzare l’epoca in modo tale da permetterne una più partecipata condivisione con il lettore, contribuisce poi a soddisfare quella necessità di rivivere l’epoca assolata, come mi piace chiamarla evocando in un tempo luce e calore.





Esiste anche un Emanuele Gagliardi poeta, che ama leggere e scrivere versi. Ce ne parli? Chi sono i tuoi poeti preferiti e a chi ti ispiri, quando componi?

Sì, esiste un Emanuele Gagliardi poeta precedente e parallelo allo scrittore thriller. Come dicevo all’inizio, parlando dell’alter ergo Soccodato, nel mio carattere è presente una nota malinconica a cui si affianca la disposizione all’introspezione, alla contemplazione della natura. Non sempre riesco a trattenere l’emozione dinanzi a un tramonto, al mare, alla luna… Tradurre questo in versi è venuto potrei dire spontaneo, a partire dagli anni del Liceo allorché mi sono avvicinato ed appassionato alla poesia del Novecento. Il poeta che in assoluto “sento”, nell’accezione più totale del termine, è Giuseppe Ungaretti ma mi trasmette molta emozione anche la poesia di Pier Paolo Pasolini, di Sandro Penna, di Vincenzo Cardarelli. Altrettanto mi ispirano la poesia e la letteratura cinese e giapponese soprattutto per la essenza contemplativa, per i loro toni tenui da acquerello, per la loro potenza mai aggressiva e men che mai volgare anche quando sono affrontate tematiche a contenuto erotico.  Per contro non amo la poesia retorica dell’Ottocento. In generale non ho proprio attrazione per quel secolo che mi dà la sensazione angosciante di un tetro monumento funereo, un’enorme scultura cimiteriale incrostata di polvere, senza vita, e sempre oppressa da un orizzonte plumbeo.




Tornando alla letteratura di tensione, quali prospettive pensi che ci siano per questo genere? Come valuti, in generale, l’attuale momento dell’editoria? L’e-book soppianterà il libro cartaceo? Chiederlo a un autore di gialli “vintage” può sembrare un paradosso…

Credo che la letteratura di tensione - mi piace questo termine! - abbia ottime prospettive. Riferendoci al nostro Paese, il gradimento riservato al genere si mantiene sempre alto anche quando la produzione, parlo di letteratura ma pure di televisione, proprio dagli anni Settanta ha voluto discostarsi dai classici – Agatha Christie o Arthur Conan Doyle, per intenderci – introducendo fra gli ingredienti risvolti umani e sociali che fanno leva sull’emotività dei lettori e/o spettatori. L’antinomia bene-male, investigatore buono quasi supereroe-delinquente cattivo socialmente emarginato, è meno marcata. Il criminale è… uno di noi! E così pure l’inquirente. Nelle indagini più che fulgide intuizioni c’è paziente lavoro di routine, a volte condito, come nei miei romanzi, con un’ambientazione tutta italiana, magari grazie all’uso del dialetto, a riferimenti alla realtà nostrana che possono andare dalla gastronomia alle tradizioni del paesino di provincia, alla fedeltà ai metodi investigativi delle nostre forze dell’ordine. Il personaggio diventa in tal modo contemporaneamente più semplice, perché più prossimo a noi, e più complicato in quanto riflesso dei nostri sentimenti, delle nostre difficoltà, delle nostre angosce. Il successo del giallo in definitiva si può spiegare soprattutto con questo processo di identificazione, con tutte le sue implicazioni catartiche o almeno di immediata gratificazione, servito su pagina, su schermo o su E-reader nell’intimità del salotto di casa. A quanti considerano il giallo un sottoprodotto letterario o comunque un genere di consumo immediato, rispondo con la parole di Italo Calvino che in un intervista del 1974 ha detto: “il poliziesco è una forma in sé perfetta del romanzesco, e come tale vale certamente più di molta produzione che passa per letteratura intellettuale”.
L’editoria oggi, esattamente come altre produzioni, è vittima delle leggi di mercato che raramente viaggiano a braccetto con la qualità. Libri ce ne sono tanti, forse troppi! Così ti capita di entrare in libreria – a parte che i libri si vendono anche al supermarket! - e rabbrividire davanti allo scaffale delle novità perche insieme con Umberto Eco trovi… nomi non ne faccio perché sarebbe scorretto, ma quanto a requisiti intellettuali non si va più in là di tronisti, veline, tuttologi… Paradossalmente, visto che sono un total-vintage, credo che l’E-book abbia una funzione positiva  nell’approccio alla lettura delle generazioni più giovani. Penso che non soppianterà il libro cartaceo, perlomeno mi auguro con tutto il cuore che non accada, ma può affiancarlo degnamente rendendo più agevole ed abbordabile economicamente la diffusione e la fruizione della letteratura.

Progetti futuri?

Con la fedele Olivetti sto ultimando la stesura di un nuovo thriller. La storia prende le mosse nell’aprile 1979, qualche settimana dopo l’uccisione di Mino Pecorelli, il controverso direttore dell’agenzia OP. Il commissario Soccodato si trova a indagare su un delitto, commesso con modalità palesemente sadiche, che lo conduce nel sottobosco dell’eversione terroristica neofascista, all’epoca (più o meno in buona fede) poco considerata e avversata. La morte violenta della prima vittima, un innocuo portinaio sessantenne solo al mondo e con la tessera del MSI, sembrerà più tardi collegarsi allo stravagante ménage di due facoltosi coniugi e ad un secondo omicidio che matura invece nell’ambito di una singolarissima coppia la cui apparente esistenza piccolo-borghese cela attitudini sadomasochistiche e patologie neuropsichiatriche.

Il tuo messaggio in bottiglia per i lettori di “Atmosfere Letterarie”…

Una vita senza i libri è come una cornice senza il quadro.


Per chi volesse collegarsi al mio sito, l’indirizzo è: http://emanuelegagliardi.altervista.org/


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