Intervista allo scrittore Francesco Boer
Francesco Boer ha 34
anni, vive a Ronchi dei Legionari, in provincia di Gorizia. La sua
passione è lo studio dei simboli, che insegue ormai da quindici
anni, cercando di integrare l'aspetto psicologico con quello
metafisico, e di approfondirne le tracce in ogni campo, dall'arte
alla storia, dalle religioni fino alla vita quotidiana, senza
tralasciare lo studio della natura."
D È da poco in libreria
il tuo nuovo libro “Il volto arcano di Trieste”. Di solito quando
si parla di arcano o magico si pensa subito al triangolo “Torino –
Lione – Parigi”. Tu perché hai scelto Trieste?
R Trieste è un crocevia, un alambicco in cui sono state distillate
e raccolte culture profondamente diverse.
Per
secoli mercanti e viaggiatori sono passati per il suo porto. La città
ha ricevuto l’influsso dell’Oriente, accogliendo i popoli dei
Balcani e della Grecia; tutt’ora sono presenti ed attive due chiese
ortodosse. Ha poi ereditato la tradizione dell’Impero
Austro-Ungarico, che già seppe creare centri di sapienza come Vienna
o Praga.
Tutti
questi elementi diversi fra loro avrebbero potuto creare una miscela
caotica ed esplosiva; ma a Trieste invece hanno saputo amalgamarsi
come le note d’un accordo, pur senza perdere la loro singola
identità.
Perciò
Trieste, oltre ad essere uno scrigno di meraviglie artistiche, è
anche un esempio di convivenza, in cui è tracciata la strada per
costruire un equilibrio fra le diversità che non sia soltanto un
compromesso, ma la composizione di un’armonia più grande.
D Una delle attrattive
più note di Trieste è il castello di Miramare, voluto e costruito
da Ferdinando Massimiliano d'Asburgo. Questa presenza ha dato
un suo contributo alla simbologia della città?
R Il castello di Miramare è ricchissimo di simboli. Vi si trovano ad esempio i ricordi della tragica avventura
dell’Impero del Messico, di cui Massimiliano ricevette la corona.
Sulle bianche mura del castello campeggia l’aquila di Tenochtitlan;
il rapace stringe nel becco un serpente, rinnovando così
l’antichissimo simbolo della lotta fra il cielo e la terra, già
ampiamente presente nella costellazione di immagini della città. Un
altro simbolo esotico che Massimiliano introdusse in città è
l’ananas, che egli scelse come emblema del suo fragile impero. Può
sembrare una scelta bizzarra, ma in realtà anche in questo caso il
simbolo si inserisce in una tradizione già presente e consolidata in
città, che vede nei frutti e nella pigna un’immagine di prosperità
e fertilità.
Anche
il monumento a Massimiliano, che attualmente si trova in piazza
Venezia, è ricchissimo di simboli. Come in un mandala, i suoi
quattro lati rimandano agli elementi della totalità: i punti
cardinali, gli elementi, gli umori dell’uomo, i quattro continenti
allora conosciuti. Ancora una volta, queste diversità si
armonizzano, costituendo così le fondamenta dell’Unità.
D Come nasce la tua
passione per la simbologia?
R Il simbolo è l’anello che lega l’idea alla materia, la via con
cui pensieri e sentimenti si manifestano concretamente. Nei simboli
si può trovare il tratto di unione che unisce l’arte alla storia
dell’uomo, la filosofia all’architettura, la religione alla vita
di ogni giorno. Grazie a questa chiave di lettura è possibile spaziare in tutti i
campi della conoscenza, trascendendo i limiti che separano le singole
discipline ed ottenendo così una visione d’insieme.
D Con quale criterio hai
scelto e spiegato le raffigurazioni simboliche che hai inserito nel
libro?
R Le immagini simboliche di Trieste sono così tante che la cosa più
difficile non è stata la raccolta, ma la necessaria cernita. Ho
privilegiato i simboli che illustrano più chiaramente la natura
particolare della città, che ha un’anima pagana e gioiosa,
profondamente solare ma anche vicina alle sorgenti telluriche
dell’energia vitale. Nel libro ho tentato un metodo innovativo. Non si tratta di un testo
di storia, e non vengono presi in considerazione ne gli autori ne gli
stili artistici. Relegando le singole immagini nel loro periodo
storico si rischia infatti di perdere di vista il grande mosaico che
esse hanno composto cristallizzandosi nel corso dei secoli. I simboli vengono invece affrontati nella loro immediatezza attuale,
come se fossero interlocutori che vogliono parlarci e comunicarci un
messaggio. E’ ovvio che un simile approccio comporta un intervento
soggettivo, mentre l’orientamento prevalente tende ad eliminare il
più possibile l’intervento personale. Ma io trovo che questa
partecipazione sia un ingrediente prezioso per far vivere il simbolo,
per farlo “cantare”. Il simbolo è come una sorgente di significati, che si rinnova
costantemente, rimanendo eterno proprio grazie alla sua capacità di
adattarsi in modo sempre diverso allo spirito dei tempi. Bisogna però
saper attingere da questa fonte: chi non chiede non ottiene risposte. Il simbolo infatti non è un oggetto, ma una relazione; per questo
motivo non lo si può spiegare come se lo si traducesse
meccanicamente, ma va interpretato, così come si interpreta uno
spartito musicale o un copione di teatro.
D Qual è la cosa più
curiosa che hai trovato?
R Il palazzo della Borsa
Vecchia è strutturato come un vero e proprio tempio antico, con un
possente colonnato da cui fanno capolino le statue degli dèi
pagani. Sulle pareti ci sono dei bellissimi fregi, fra cui uno
particolarmente enigmatico: un putto tiene in mano uno scettro,
sulla cui cima c’è un mano aperta, con un occhio spalancato sul
palmo. Sotto la mano c’è un paio di ali, che sembrano cingerla e
coronarla. L'immagine è così misteriosa ed insolita che al solo
vederla la curiosità incomincia a correre e a sognare antiche magie
ed oscure cospirazioni fra congiurati. Nel libro vi è dedicato un
capitolo intero!
D Piazza Unità d'Italia
è famosa per essere la piazza più grande d'Europa che si affaccia
sul mare, vuoi raccontarci di qualche curiosità che è possibile
trovare li?
R La copertina del libro riprende un dettaglio dalla fontana dei
quattro continenti, che si trova proprio in piazza Unità. Il
personaggio dal volto velato rappresenta il fiume Nilo, le cui
sorgenti, all’epoca, non erano state ancora scoperte. Si intende che la sorgente è qualcosa di più di un semplice dato
geografico: rappresenta infatti proprio quella verità profonda che
si manifesta tramite il simbolo, l’eternità che traspare dalle
meraviglie del velo di Iside.
D Perché chi non abita a
Trieste dovrebbe avvicinarsi al tuo libro?
R Il libro vuole essere
anche un invito a scoprire la città, che nonostante non sia una
tradizionale meta turistica ha molto da offrire, e non solamente in
campo artistico. Ma
anche senza recarsi di persona nelle vie di Trieste, il lettore potrà
scoprire nei suoi simboli delle verità che lo toccano da vicino; la
creazione di queste immagini è infatti l’espressione di sentimenti
e pensieri che riguardano l’Uomo stesso, costituendone la radice
profonda.
Intervista
di Sandra Fiabeacolori
"Il
volto arcano di Trieste"
Bruno
Fachin editore
pag
219 prezzo 15 euro
ISBN
88-85289-01-0
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